Avvenire, 08/07/09, da Salvatore Mazza

«Dalla ricerca del bene comune l’autentico sviluppo»
il richiamo
«Il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è la persona nella sua integrità»
« La Carità nella verità, di cui Gesù s’è fatto testimone » è «la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera». È l’incipit della Caritas in veritate , terza enciclica di Benedetto XVI, che il Papa indirizza al mondo cattolico e «a tutti gli uomini di buona volontà». Centoquarantadue pagine, suddivise in sei capitoli, più un’introduzione e una breve conclusione.
Introduzione – Il Pontefice ri corda che «la carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa». Tuttavia, dato «il rischio di estrometterla dal vissuto etico», essa va coniugata con la verità, perché «un Cristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambiato per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali». Quando invece, lo sviluppo ha bisogno della verità, altrimenti «l’agire sociale cade in balia di privati interessi e di logiche di potere, con effetti disgregatori sulla società».
Capitolo I – Benedetto XVI lo dedica alla Populorum progressio di Paolo VI, ricordando come «senza la prospettiva di una vita eterna il progresso umano in questo mondo rimane privo di respiro ». Montini ribadì «l’imprescindibile importanza del Vangelo per la costruzione della società secondo libertà e giustizia», e nella Humanae vitae «indica i forti legami esistenti tra etica della vita ed etica sociale». Un «collegamento » che anche oggi la Chiesa «propone con forza», in quanto lo sviluppo è davvero «integrale» quando è «volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo». Infatti «le cause del sottosviluppo non sono primariamente di ordine materiale», ma innanzitutto nella volontà, nel pensiero e ancor più «nella mancanza di fraternità tra gli uomini e i popoli ». «La società sempre più globalizzata – rileva – ci rende vicini, ma non ci rende fra telli ».
Capitolo II – L’esclusivo obiettivo del profitto «senza il bene comune come fine ultimo rischia di distruggere ricchezza e creare povertà». Un’attività finanziaria «perlo più speculativa», i flussi migratori «spesso solo provocati » e poi mal gestiti, «lo sfruttamento sregolato delle risorse della terra» rappresentano «distorsioni dello sviluppo » rispetto ai quali il Papa invoca «una nuova sintesi umanistica». La crisi «ci obbliga a riprogettare il nostro cammino». Dopo la fine dei «blocchi», ricorda papa Ratzinger, Giovanni Paolo II aveva chiesto «una riprogettazione globale dello sviluppo», ma ciò «è avvenuto solo in parte». Le persone appaiono sempre più smarrite e deboli, mentre invece «il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è la persona nella sua integrità». Il Pontefice analizza i rischi di smarrimento delle culture, affronta lo «scandalo della fame», sottolinea come il rispetto per la vita «non può in alcun modo essere disgiunto» dallo sviluppo dei popoli. E, sulla globalizzazione, afferma: «Senza la guida della carità nella verità, questa spinta planetaria può concorrere a creare rischi di danni sconosciuti finora e di nuove divisioni».
Capitolo III – Parlando di fraternità, sviluppo economico e società civile, papa Ratzinger mette in evidenza come la convinzione di autonomia dell’economia dalle «influenze di carattere morale ha spinto l’uomo ad abusare dello strumento economico in modo persino distruttivo». Ma ciò, e l’esperienza l’ha di mostrato, non è vero. Il mercato, «senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca non può pienamente espletare la propria funzione »; esso deve «attingere energie morali da altri soggetti » e non deve considerare i poveri un «fardello, bensì una risorsa». Riprendendo la Centesimus annus , il Papa indica la «necessità di un sistema a tre soggetti» – mercato, Stato e società civile – e incoraggia una «civilizzazione dell’economia»; così, osserva, la gestione della crisi attuale «non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari », ma «deve anche farsi carico» della comunità lo cale. Alla globalizzazione serve «un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza» capace di «correggerne le disfunzioni ».
Capitolo IV – Riflettendo su sviluppo dei popoli, diritti e doveri, ambiente, il Papa ribadisce che «l’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; non di un’etica qualsiasi bensì di un’etica amica della persona ». La stessa centralità della persona deve essere il principio guida «negli interventi per lo sviluppo» della cooperazione internazionale, che de vono sempre coinvolgere i beneficiari. Quanto all’ambiente, Benedetto XVI ricorda come per il credente la natura è un dono di Dio da usare responsabilmente, e «l’accaparramento delle risorse» da parte di Stati e gruppi di potere «un grave impedimento per lo sviluppo dei Paesi poveri ». Le «società tecnologicamente avanzate possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico».
Capitolo V – Qui il Papa evidenzia che «lo sviluppo dei popoli dipende soprattutto dal riconoscimento di essere una sola famiglia». Con «la negazione del diritto a pro fessare pubblicamente la propria religione», la politica «assume un volto opprimente e aggressivo», e «nel laicismo e nel fondamentalismo si perde la possibilità di un dialogo fecondo» tra la ragione e la fede, rottura che «comporta un costo molto gravo so per lo sviluppo dell’uma nità ». Non manca un riferimento al principio di sussidiarietà, che rappresenta «l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista». Il Papa e sorta poi gli Stati ricchi a «destinare maggiori quote» del Pil per lo sviluppo, in particolare all’istruzione e alla formazione «integrale». Quanto poi al fenomeno «epocale» delle migrazioni, ricorda che ogni migrante «è una persona umana» che «possiede diritti che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione». E conclude con un richiamo «all’urgenza della riforma» dell’Onu e «dell’architettura economica e finanziaria internazionale», auspicando «la presenza di una vera Autorità politica mondiale».
Capitolo VI – Affrontando la relazione tra sviluppo e tecnica, il Papa mette in guardia dalla «pretesa prometeica» secondo cui «l’umanità ritiene di potersi ricreare avvalendosi dei 'prodigi' della tecnologia». La tecnica infatti non può avere una «libertà assoluta». Campo primario «della lotta culturale tra l’assolutismo della tecnicità e la responsabilità morale dell’uomo è oggi quello della bioetica», spiega Benedetto XVI, affermando che «la ragione senza la fede è destinata a perdersi nell’illusione della propria onnipotenza».
Conclusione – Lo sviluppo «ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera», di «amore e di perdono, di rinuncia a se stessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace».